Il Perugino al Museo Jacquemart-André di Parigi

Il Perugino e la figura della Malinconia
di Beniamino Vizzini  (testo pubblicato su La VOCE di New York)

7 Settembre 2014 
   Musée Jacquemart-André, Parigi

Apre il 12 Settembre, al Museo Jacquemart-André di Parigi, la mostra Il Perugino, maestro di Raffaello con circa cinquanta opere dell'artista rinascimentale italiano e alcune dello stesso Raffaello. L'esposizione consente una disamina critica sulla questione storico-filologica del confronto tra il maestro e l’allievo.

Dal 12 Settembre 2014 fino al 19 Gennaio 2015, al Museo Jacquemart-André di Parigi, si terrà una grande mostra sull’arte del Rinascimento italiano dal titolo Il Perugino, maestro di Raffaello con circa cinquanta opere, fra le quali alcune dello stesso Raffaello, per consentire un'ulteriore disamina critica sulla questione storico-filologica del confronto tra il maestro e l’allievo. Tale importante iniziativa è stata realizzata in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etno-antropologici dell’Umbria, con l’alto patrocinio dell’Ambasciatore d'Italia in Francia e il sostegno dell’Istituto di Cultura Italiano a Parigi. La mostra è documentata sulle pagine del 21° cahier della rivista Tracce Cahiers d’Art, a cura di Marianna Montaruli e Beniamino Vizzini 

Già nel 2011, il Museo Jacquemart-André, aveva presentato la mostra Beato angelico e i maestri della luce che permise al pubblico francese di scoprire un periodo della pittura italiana, tra il 1440 e il 1460-1465, assai decisivo per la formazione dell’arte umanistico-classicistica del Rinascimento. Vennero esposte opere, oltre che del Beato Angelico, anche degli altri protagonisti della cosiddetta “pittura di luce”: da Domenico Veneziano, il maestro di Piero della Francesca, ad Andrea del Verrocchio, alla cui prestigiosa bottega lavorò da giovane Pietro di Cristoforo Vannucci, detto il Perugino, insieme a Leonardo da Vinci e a Botticelli. Si trattò di una corrente dell’arte fiorentina che seppe diffondere la passione condivisa per la prospettiva e per una figurazione dai colori chiari, intrisi di luce. Ora, a distanza di tre anni da quella mostra, lo stesso museo parigino ritorna a proporre un altro grande maestro della “pittura di luce” e il più rappresentativo esponente dell’arte classicistico-rinascimentale italiana: Il Perugino, maestro di Raffaello. 

L’attuale allestimento espositivo di circa cinquanta opere, che inaugurerà il 12 Settembre 2014 fino al 19 Gennaio 2015, è stato realizzato in partenariato con la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici dell’Umbria e beneficia dell’alto patrocinio di Sua Eccellenza Giandomenico Magliano, ambasciatore d’Italia in Francia, e del sostegno dell’Istituto Culturale Italiano. Grandi istituzioni italiane, fra le quali le Soprintendenze di Firenze, Roma, Perugia, Napoli e Urbino, hanno concesso prestiti eccezionali per questa esposizione, così come i più grandi musei internazionali: la Royal Collection Trust e la National Gallery del Regno Unito, la National Gallery of Art di Washington, il Louvre. Curatrice della mostra è Vittoria Garibaldi, già direttrice della Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia ed attualmente direttrice del laboratorio di diagnostica per il patrimonio culturale di Spoleto, autrice di numerose pubblicazioni sul Perugino.

Le Pérugin, Pietro Vannucci, dit (vers 1450-1523) Vierge à l’Enfant, vers 1500, huile sur bois, 70,2 x 50 cm, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection © Courtesy National Gallery of Art, Washington 

Giudicato dai suoi contemporanei come “il meglio maestro d’Italia”, tanto si legge in una lettera di Agostino Chigi del 7 Novembre 1500, il miglior pittore allora vivente in Italia, Pietro Vannucci avviò fra gli ultimi decenni del XV secolo e i primi del XVI secolo una nuova maniera di dipingere, che ha profondamente impressionato la sua epoca. Vittoria Garibaldi ha scritto: “Creatore del nuovo stile, dove il classicismo raggiungerà effetti di grande purezza formale, attraverso la serena misura delle composizioni, il disegno definito ed elegante, il colore chiaro e pieno di luce, fu proprio il Perugino. Con lui usciva di scena ‘il caratteristico, il commovente, l’impressionante’ e il successo arrideva a un’arte di grandi ed equilibrate composizioni spaziali, di uomini e donne che avevano perso le loro caratteristiche terrene e assunto quell’aria angelica et molto dolce come la descrive un informatore del duca di Milano nel 1494, e di cui tutti allora sentivano il bisogno” (v. Garibaldi Perugino, Antella, Firenze 1999; id. Perugino catalogo completo, Firenze 1999). 

Il Perugino esercitò la titolarità, in contemporanea, di due attivissime botteghe, a Firenze e a Perugia, sull’onda del successo durato ininterrottamente per un paio di decenni che lo resero l’artista, non soltanto, più ammirato, ma anche, più amato dai suoi contemporanei. Fuse insieme la luce e la monumentalità di Piero della Francesca, con il naturalismo e gli elementi essenziali e lineari di Andrea del Verrocchio, filtrandoli attraverso i modi gentili della pittura umbra. Come ha rilevato nella sua esegesi, ancora, con chiarezza e con preciso senso critico, Vittoria Garibaldi: “…sono anni di grandissimo successo per il Vannucci, e la sua fama a Firenze supera quella degli artisti fiorentini più in voga. La sua bottega è la più attiva e la più ricca di commissioni. All’ampliarsi della sua fama – aggiunge l’autrice – contribuisce anche l’evolversi di una situazione di incertezza e di instabilità sociale seguita, nell’Aprile del 1492, alla morte di Lorenzo il Magnifico e alla capacità del Perugino di adattare la propria pittura al linguaggio devozionale ed essenziale propugnato dal Savonarola nelle sue prediche. Il raggiungimento di un ‘ductus’ sereno, pacato, non toccato da sentimenti violenti o da caratterizzazioni esasperate, dove le immagini religiose sono rese con armonia e bellezza, appaga la società fiorentina bisognosa di trovare almeno nell’arte un momento di raccoglimento e di pace”.

Le Pérugin, Saint Bernardin soigne d’un ulcère la fille de Giovanni Antonio Petrazio da Rieti,1473, tempera sur bois, 78,5 x 56,5 cm, Pérouse, Galleria Nazionale dell’Umbria © Per gentile concessione della Soprintendenza BSAE dell'Umbria-Perugia (Italy) 

Ariosità e luce rendono visibile nell’arte del Perugino – rinnovandone l’incanto, ancora oggi, ogni volta in chi la guarda – lo spazio di una perfezione ideale dove tutto assume l’apparenza dell’immutabilità perché tutto sembra essere in pace con se stesso, ogni sua parte in armonia con la propria essenza ed, altresì, in accordo con tutte le altre. si esamini in proposito, ciò che è stato riconosciuto come il primo capolavoro “la prima svolta significativa della carriera del maestro umbro” (v. Garibaldi), San Bernardino risana da un’ulcera la figlia di Giovanni Antonio Petrazio da Rieti, scena dalla cosiddetta “Nicchia di San Bernardino” del 1473. Si tratta di una tavoletta (tempera su tavola, cm 77 x 57) della serie dei Miracoli di San Bernardino commissionati dai Francescani di Perugia a Pietro Perugino e ad altri pittori, tra cui sono stati fatti anche nomi di pittori molto prestigiosi, per la decorazione di due ante con un totale di otto tavolette dipinte che chiudevano una nicchia con la statua del santo nell’oratorio di San Bernardino. Il progetto dell’impresa viene in genere attribuito al Perugino stesso, ma a lui è unanimemente ascritta soltanto la realizzazione della storia con San Bernardino che risana una fanciulla. 

Al primo colpo d’occhio, la chiarità e nitidezza dell’espressione coloristica, la scioltezza del disegno, l’integrazione davvero stupefacente di figure paesaggio e architettura, infondono allo sguardo il senso d’una visione solenne ed al contempo serena. Poi, scendendo ad un’osservazione più dettagliata, si nota che le figure sono piccole ed occupano la fascia inferiore del dipinto, con il curioso particolare della fanciulla che siede al centro vistosamente vestita di rosso e che con le mani giunte sembra ringraziare il santo, inginocchiato davanti a lei tra altri due confratelli, del miracolo ricevuto. Dietro di lei si trovano i suoi parenti, che alzano le braccia in segno di stupore, e due astanti di spalle riccamente abbigliati che fanno analoghi gesti di sorpresa, sempre equilibratamente contenuti e misurati. Potrebbe sembrare la scena d’una rappresentazione teatrale, mentre, al margine, sul proscenio di questo teatro immaginario, rivolto verso gli spettatori un giovane biondo sta in piedi con un bastone; la sua posa aggraziata e leggera sarà una caratteristica che diventerà tipica dell’arte di Perugino. Tuttavia, vero protagonista della scena è il fastoso interno architettonico, che prevale sulle figure scandendo solennemente lo spazio in maniera regolare.
Raphaël, Raffaello Sanzio, dit (1483-1520), Ange,150, huile sur toile, 31 x 26,5 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo, Ange (Pala di San Nicola da Tolentino), Pérugin - Brescia © Pinacoteca Tosio Martinengo – Brescia 

Il luogo dove viene inscenato l’evento miracoloso di indubbia ascendenza cristiana, rievoca invece uno spazio pagano, l’Arco di Tito, con colonne riccamente decorate in maniera policroma con vari motivi rinascimentali tratti dalla tradizione classica, e che al centro si apre all’esterno in un ampio e digradante paesaggio dall’orizzonte basso, reso ancor più fascinoso da un uso sapiente della prospettiva aerea, e pervaso dall’azzurro infinitamente profondo del cielo che sale fin sopra all’epistilio, oltre il fregio, tra festoni ornamentali, forse a significare la compenetrazione di trascendenza e immanenza del divino nell’anima, copula mundi, secondo la grande utopia neoplatonica dell’umanesimo classicistico-rinascimentale. Questa immagine pittorica del miracolo di San Bernardino ci restituisce, in verità, il senso miracoloso dell’apparenza del bello, di un mondo che appare nella luce soprannaturale dello spirito, languido sogno di grazia e di bellezza eppure solcato da una nota di malinconia. Il giovane paggio dalla linea sinuosa ed elegante, che sembra posto a presidio della scena cui volge le spalle, ha lo sguardo perso altrove, disinteressato all’accaduto, poiché par che voglia indicare, appunto, che quanto ammirano i nostri occhi dietro la sua figura non sia mai esistito se non nel sogno del pittore e che tutto il visibile non sia altro che un bellissimo sogno o indecifrabile apparenza. Quel mondo trasfigurato nel regno di un ordine angelico e sontuoso semplicemente manca nella realtà di questo mondo e di ciò testimonia la malinconica indifferenza, nella sua posa indolente, del giovane che ostenta la sua estraneità. 

Anche al sogno più bello rimane associata, come una macchia, la sua differenza dalla realtà, la consapevolezza del carattere puramente illusorio di ciò che esso ci dona. Ecco perché proprio i sogni più belli sono come solcati da crepe invisibili” (Adorno, Minima Moralia). 


Beniamino Vizzini nasce a Palermo nello stesso anno in cui escono Minima Moralia di Th.W. Adorno in Germania e L’uomo in rivolta di Albert Camus in Francia. Attualmente vive in Puglia. Fondatore con Marianna Montaruli e direttore della rivista TRACCE CAHIERS  D'ART, curatore editoriale dal 2003 delle Edizioni d’arte Félix Fénéon. Cultore dell’autonomia dell’arte, concepisce l’esercizio della critica secondo le parole di O. Wilde come “il registro di un’anima”, decidendo di convertire questa sua passione in impegno attivo soprattutto sul versante pubblicistico-editoriale della comunicazione intorno all’Arte ed alla Storia dell'Arte. 



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