La rosa senza perché o della poesia. Intorno al nuovo libro di Flavio Ermini IL GIARDINO CONTESO. Di Beniamino Vizzini

La rosa senza perché o della poesia.
Intorno al nuovo libro di Flavio Ermini 
IL GIARDINO CONTESO


Primo Maggio 2016

"Siamo chiamati a prendere la parola per cercare nel nostro esserci l’insieme vivente”, Flavio Ermini

FLAVIO ERMINI
"Il giardino conteso. L'essere e l'ingannevole apparire"
Moretti & Vitali Editori, Bergamo 2016 ISBN 978-88-7186-633-8 Euro 18,00
La parola poetica non ha identità, fiorisce dentro alla soggettività del poeta senza, per ciò, esserne dedotta o, tratta al di fuori per virtù d’una ragione qualunque, di un interesse o di uno scopo. Il suo venire alla luce rivelativa della lingua è pari all’apparire di qualcosa, qualsiasi cosa, che esca dalle oscure sotterranee matrici d’una radice nascosta, simile ad un seme sepolto da cui nasce il germoglio della rosa, da cui essa scaturisce come per grazia o come per atto gratuito, senza volontà di nessuno, così per nulla.

Scrive, ad un certo punto del suo nuovo libro, Flavio Ermini: “Ascoltate cosa dice Silesius nel Pellegrino cherubico ‘La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce / a se stessa non bada, che tu la guardi non chiede’. Non sembra anche a voi di leggere dietro al nome di questa rosa senza perché il nome della parola poetica?”.

Il dire poetico è, allora, l’evenienza di un pronunciarsi che torna costantemente al fiorire aurorale dell’irripetibile annuncio anzi, il rifiorire del principio da cui prende avvio, ogni volta, sempre come la prima volta, il dettato di un pensiero affatto libero di protendersi verso la struggente indicibile ulteriorità dell’essere.

Nonostante che la riflessione di Flavio Ermini, oramai consolidatasi lungo il percorso della pluridecennale ricerca d’una linea di poetica, perfettamente certificata dall’ininterrotta teoria dei numeri della rivista Anterem, corra sul filo di un rischio di ipostatizzazione ontologica dovuto agli eccessi del ricorso, da parte sua, a quel gergo filosofico che tende a ricadere nella trappola di una “ontologizzazione dell’ontico”; nonostante che la presenza di questo rischio sia sempre imminente – come dicevo – la sua riflessione sa, tuttavia, mantenersi benissimo all’altezza di uno sforzo meditativo volto all’autoriflessione critica del pensiero su se stesso. 

Ma più che d’una riflessione tutta giocata, solo, sul piano della razionalità concettuale totalizzante si tratta, invero, di un meditante pensare ove si riporta, dentro al pensiero, sensibilità, immaginazione e sentimento, fino a divenire piuttosto un poetare, tanto che nel suo ultimo libro Il giardino conteso Flavio Ermini segue un itinerario che parte dalla saggistica e, passando per la narrativa, giunge alfine alla poesia. Si tratta di un viaggio in qualche modo iniziatico. 

È un cammino che vuole rispecchiare il tentativo di guardare oltre le apparenze e le illusioni, per accostarsi alla verità dell’essere. Verità che la poesia con cura custodisce e che deve essere ascoltata nell’aconcettuale richiamo, e materiale porsi in essere, della sua voce. 

È necessario, oggi, come afferma Flavio Ermini, superare la divisione platonica “dell’essere tra sensibile e sovrasensibile. È doveroso, fin d’ora, rimettersi in cammino verso la verità dell’essere, considerata nella sua indivisibilità: sulla strada lungo la quale erano incamminati i primi pensatori, prima della deviazione tracciata da Platone. La poesia si fa presente sulla soglia del caos originario, di quell’indistinto cui Anassimandro aveva dato il nome di apeiron. Ora che la chiusura alla verità dell’essere appare ferrea; ora che la divisione dell’essere in sensibile e sovrasensibile si configura come cosa compiuta; ora che la strada della tecnica appare spianata: diventa sempre più urgente tornare a esporsi all’essere. La figura del caos originario bene indica questa tensione. Quella del poeta vuole essere una forte presa di posizione per l’essere prima di volgersi a qualsiasi altra destinazione. Chi scrive guarda a quell’indeterminazione che è la presenza simultanea all’essere di possibilità diverse ed escludentisi: è l’essere come pura possibilità”.

Flavio Ermini ci invita, dunque, a ri-pensare la poesia come rinascita o, come secondo inizio o, in altri termini, come il ricorrente riproporsi del caos originario quale apertura incondizionata ad ogni condizione possibile. Eterno ritorno d’una creazione infinita e permanente analoga al porre perpetuamente in essere ciò che ancora non è, ma che potrebbe e dovrebbe esserci, in uno spazio ulteriore rispetto all’essere attuale dell’ente. 

Nello spazio dell’immaginazione o dell’orizzonte esistenziale ed umano del possibile, che non è il tutto è possibile delle potenze scatenate dalla tecnologia nell’antropomorfosi del Capitale, ma la possibilità contenuta entro il limite, la metrica, la misura dell’esperienza poetica e autenticamente vissuta nella vita finita e mortale di un essere umano. 

L’orizzonte del possibile cui qui si allude coincide con il regno delle possibilità negate, nascoste e rimosse dalla Ratio del dominio fondata sulla divisione dell’essere tra sensibile e sovrasensibile. 

“Esattamente come l’esistenza umana, l’esperienza poetica del pensiero non è riducibile a ciò che di fatto attualmente è, ma si protende verso ciò che può essere, ovvero il proprio inevitabile da farsi. Suscita l’operare e l’opera. Chiamando al ‘risorgere’, induce l’essere umano a partecipare di sé. A partire da questo inizio ritrovato, possono aver luogo una nuova scrittura e un pensare che rifiutino di rispecchiarsi in un sistema già dato delle cose”.

Il testo di Beniamino Vizzini "La rosa senza perché o della poesia. Intorno al nuovo libro di Flavio Ermini, Il giardino conteso" è stato pubblicato il Primo Maggio 2016 su Tracce Cahiers d'Art, nel supplemento telematico della rivista, link: http://bit.ly/1SU1AyB

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