L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp al Museo d'Arte di Ascona, Svizzera. Di Beniamino Vizzini

L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp

MARCEL DUCHAMP "L.H.O.O.Q.", 1919 / '64
Staatliches Museum Schwerin / Ludwigslust / Güstrow
Succesion Marcel Duchamp 2015, ProLitteris, Zurich

L.H.O.O.Q. è un ready-made rettificato realizzato nel 1919 dall’artista dadaista Marcel Duchamp. L’opera fu esposta al pubblico nel corso del 2016 nella mostra Marcel Duchamp Dada e Neodada presso il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona (Svizzera) www.museoascona.ch organizzata in collaborazione con lo Staatliches Museum di Scwerin (Germania) e, che rientra nel novero delle celebrazioni svizzere per il 100° anniversario dalla nascita del movimento Dada, fondato a Zurigo nel 1916.

Si tratta d’una riproduzione fotografica della Gioconda (o Monna Lisa) di Leonardo da Vinci alla quale sono stati aggiunti provocatoriamente dei baffi e un pizzetto. Il titolo L.H.O.O.Q. è composto da cinque lettere che pronunciate in lingua francese danno origine alla frase “Elle a chaud au cul” (Lei ha caldo al culo – Lei è eccitata). Esiste anche una versione del 1965 nella quale appare la Gioconda senza baffi e la scritta in francese, Rasée L.H.O.O.Q. 

Fin troppo evidente l’intenzionalità derisoria e trasgressiva del gesto di Duchamp che sovrappone un segno di chiaro significato contestativo ad un’immagine-culto, tale che ha finito per monopolizzare la rappresentazione universale dell’Arte del Rinascimento secondo le modalità più insignificanti e banali della mimesi raffigurativa. Marcel Duchamp ha dichiarato: “La Gioconda è così universalmente nota e ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero artistici”.
L’opera pittorica del ritratto leonardesco, proveniente dalla tradizione dell’operare artistico di matrice magico-rinascimentale del Quattro-Cinquecento italiano, viene aggredita e negata dall’artista di Blainville-Crevon nel momento in cui viene, parimenti, riaffermata come icona nel contesto generale di un consenso comune, in sé, privo di qualsiasi sensibilità per l’effettiva e vivente esperienza della creazione artistica, ridotta al grado zero d’una “pittura retinica” che annulla l’arte come pensiero. L’operazione di Duchamp sembra avere, dunque, il carattere di un’irriverente protesta contro il dogmatico predominio di un’estetica ormai morta ma tenuta, artificialmente, in vita ancora dalla volontà prevalente dei filistei componenti una massa umana, affatto, estranea all’esercizio di autentica libertà dell’arte. 

“L’opera d’arte non deve rappresentare la bellezza che è morta” affermava Duchamp. La tradizione umanistica dell’ Opera d’arte e del Capo-lavoro, della bellezza come armonia, autonomia ed unità della forma, è stata assassinata, annientata dal nichilismo antiumanistico della società uscita dall’ecatombe della prima guerra mondiale (la Gioconda di Duchamp è del 1919). Il gesto trasgressivo dell’artista dadaista francese ha inteso reagire al nichilismo della modernità esplosa dopo il primo grande genocidio totale della storia con il nichilismo uguale e contrario di un’arte divenuta antiarte, antitesi totale alla tradizione del processo artistico organico e incorporato al processo storico la cui logica avrebbe condotto verso il termine finale della meta catastrofica di uno sterminio di massa globale.

Se l’arte fino ad allora era stata, ed eminentemente rimasta, opera d’arte adesso bisognava, soprattutto, dissacrare l’opera e produrre l’antiopera o, produrre un’arte non più materializzabile in oggetto estetico – un’arte concettuale. Se l’ispirazione artistica precipitava, alla fine o nel corso della sua attuazione creativa, nell’esecuzione tecnica di un atto molto fisico ora, al di fuori della operatività tradizionale, l’arte diviene un atto metafisico se non, addirittura, mistico. Ricordiamo la prima delle Proposizioni sull’Arte Concettuale dell’artista statunitense Sol Lewitt: “Gli artisti concettuali sono mistici piuttosto che razionalisti. Giungono rapidamente a conclusioni che la logica non può raggiungere”.

La Gioconda di Duchamp adombra sotto “quei baffi davvero artistici” una rivelazione davvero mistica dalla quale scatta, nel modo di una illuminazione improvvisa, la conclusione secondo cui apparterrebbe all’esperienza profonda dell’arte una certa natura – evocatrice di opere e di vita – intrinseca all’azione umbratile ed occulta del pensiero magico, dell’Ermetismo e dell’Alchimia, argomenti di cui pare Duchamp si sia sempre interessato durante tutta la sua esistenza. 

Secondo Maurizio Calvesi la “Gioconda con i baffi” nascerebbe da una segreta e divertita allusione “ermetica” all’androginia dell’effigiata. L’androgino, come unione del maschile e del femminile (e quindi dei contrari) è infatti una figura simbolica ricorrente nei trattati alchemici e disegnare barba e baffi sul volto della Gioconda è in fondo mascolinizzare una figura femminile. La misteriosa sigla del titolo, L.H.O.O.Q., ci fornirebbe poi la chiave per decriptarne il senso. Calvesi ipotizza che Duchamp possa aver preso spunto per questa buffa associazione da una miniatura di Jean Perrel intitolata “La complainte de Nature à l’Alchimiste errant” proveniente da un manoscritto alchemico del ‘500 dove si vede la personificazione della Natura-Alchimia (peraltro simile alla Gioconda nella posizione delle braccia e nello sfondo paesaggistico) che siede sopra ad un forno acceso in forma di tronco cavo, ha quindi certamente caldo al sedere. 

Il testo di Beniamino Vizzini "L.H.O.O.Q. di Marcel Duchamp al Museo d'Arte di Ascona, Svizzera" è stato pubblicato il 7 Giugno 2016 a cura di Marianna Montaruli su Tracce Cahiers d'Art, nel supplemento telematico della rivista, link: http://bit.ly/1raB8qC

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